Il paradosso dell’obesità: un’illusione statistica?

Negli ultimi decenni, l’obesità è stata associata a un aumentato rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare e oncologica. Tuttavia, da alcune indagini epidemiologiche sono emersi risultati controintuitivi: un peso corporeo superiore all'ideale sembra associarsi a una maggiore sopravvivenza.
Questo fenomeno, noto come “obesity paradox”, ha attirato l’attenzione della comunità scientifica, sollevando domande cruciali. Si tratta di un effetto reale? Oppure è frutto di bias statistici, definizioni imprecise e variabili confondenti?
I dati di partenza
Nel 2013, un gruppo di ricercatori del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ha pubblicato una meta-analisi sulla rivista JAMA che ha suscitato grande dibattito. Secondo lo studio, essere in sovrappeso potrebbe offrire un vantaggio in termini di sopravvivenza.
In particolare, l'obesità di grado 2 e 3 (BMI > 35) risultava associata a una ridotta aspettativa di vita, ma per l’obesità di grado 1 (BMI tra 30 e 35) non si osservava nessun aumento del rischio di mortalità.
Ancora più sorprendentemente, le persone classificate come in sovrappeso (BMI tra 25 e 30) sembravano avere una sopravvivenza addirittura maggiore rispetto a chi rientrava nel normopeso.
Le possibili spiegazioni
I dati appena citati sembravano scardinare le evidenze raccolte fino ad allora sull'effetto deleterio sulla salute di un peso corporeo maggiore a quello ideale. Molti studiosi hanno ipotizzato che il paradosso dovesse necessariamente riflettere, più che un effetto reale, la presenza di bias metodologici e variabili confondenti.
1. Bias di causalità inversa
In alcune popolazioni, un peso corporeo normale o ridotto può non rappresentare un indicatore di salute, ma essere invece la conseguenza di condizioni patologiche preesistenti. In questi casi, il basso BMI non è la causa dell’aumentata mortalità, bensì un effetto secondario della malattia, che genera un’apparente associazione negativa tra peso normale e sopravvivenza.
2. Fumo di sigaretta
I fumatori tendono ad avere valori di BMI più bassi, ma presentano un rischio di mortalità nettamente più alto a causa degli effetti nocivi del fumo stesso. Se gli studi non controllano in modo adeguato questa variabile, il peso corporeo più elevato potrebbe sembrare protettivo solo perché associato a un minor tasso di fumatori.
3. Indice di massa corporea (BMI) come unica misura dell’adiposità
Il BMI non distingue tra massa grassa e massa magra, né considera la distribuzione del grasso (es. viscerale vs. sottocutaneo), con il rischio di classificare in modo impreciso individui con caratteristiche metaboliche molto diverse.
In sintesi, molti dei risultati che sembrano supportare il paradosso dell’obesità potrebbero in realtà riflettere distorsioni metodologiche più che reali vantaggi fisiologici del sovrappeso.
Tuttavia, non sono mancate ipotesi che hanno suggerito l’intervento di meccanismi biologici, come la maggiore disponibilità di energia nei soggetti affetti da malattie croniche.
La prova del nove
Per mettere alla prova il paradosso dell'obesità una volta per tutte, è stata istituita la Global BMI Mortality Collaboration, che ha esaminato i dati di oltre 10 milioni di persone provenienti da centinaia di studi in dozzine di paesi.
Per evitare possibili bias statistici e confondenti, dallo studio sono stati esclusi i fumatori, i soggetti con malattie croniche e i decessi nei primi 5 anni di follow-up. I risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista The Lancet, parlano chiaro: la mortalità per tutte le cause aumenta già a partire da un BMI superiore a 25, in modo progressivo e costante.
Questo suggerisce che non solo l’obesità, ma anche il sovrappeso rappresenta un fattore di rischio per la salute nel lungo periodo. Naturalmente, il BMI è solo un indicatore generale e non tiene conto della composizione corporea o della distribuzione del grasso, ma resta un indicatore utile e semplice da monitorare.